PARTE SECONDA.
Ho parlato fin quì della grandine, come se i suoi grani fossero già dal principio belli e formati, e senza cambiare di figura e di costituzione, non facessero che ingrossare in seguito per via di successive incrostazioni, durante tutto il tempo che volteggiano nell’aria cacciati e ricacciati dall’uno all’altro strato di nubi. Solamente ho fatto qualche cenno del fiocchetto di neve, da cui sembra aver il suo principio ognuno di tali grani. Or conviene considerar meglio un tal punto importante, e trattenersi più di proposito su di esso. Abbiamo dunque per un fatto presso a poco generale, che de’ fiocchetti di neve han servito di base alla grandine, scorgendosene comunemente uno non piccolissimo, anzi talora di più che discreta mole, nel centro di ciascun grano. Differiscono pertanto interamente gli embrioni della grandine dai grani adulti, o vogliam dire compiti, della medesima; non essendo quelli sulle prime che fiocchi di neve, e questi formati dianzi da piccole stellette risultanti da filetti o sottili aghi di ghiaccio, quali si producono dalla congelazione immediata de’ vapori nebulosi ossia vescicolari, sorpresi da un freddo intensissimo avantichè si rompano e risolvano in goccie, com’è ormai riconosciuto dai migliori Fisici, e come lo dimostra all’occhio la formazione di quella specie di brina che i Francesi chiamano gelée blanche, o givre, e noi nebbia gelata; e meglio ancora lo diede a vedere la curiosa sperienza fatta per azzardo dagli Accademici Francesi in Lapponia, e che è stata ripetuta da altri in Siberia.
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