Un uomo che non era stato battezzato, un buon anabattista nomato Giacomo, vide l’ignominiosa e crudel maniera con cui trattavasi uno de’ suoi confratelli, una creatura bipede implume, la quale aveva un’anima; lo condusse in sua casa, lo nettò, gli diè del pane e della birra, gli fe’ presente di due fiorini, anzi volle insegnargli a lavorar nella sua fabbrica, alle stoffe di Persia che si fanno in Olanda. Candido inginocchiandosegli innanzi esclamava: “Il maestro Pangloss me l’aveva ben detto che in questo mondo tutto è per lo meglio; io sono infinitamente più commosso dell’estrema vostra generosità, che dell’asprezza di quel signore dal mantello nero e della sua moglie.”
Il giorno dopo andando a spasso s’imbatte in un accattone tutto coperto di bolle, cogli occhi smorti la punta del naso rosicchiata, la bocca storta, i denti neri, la voce affogata, tormentato da una tosse violenta, e che ad ogni nodo di tosse sputava un dente.
CAPITOLO IV.
Come Candido ritrova il suo antico maestro di filosofia il dottor Pangloss, e quel che ne segue.
Candido più commosso ancora di compassione che d’orrore, diede a quello spaventevole accattone i due fiorini che avea ricevuti da quell’uom dabbene dell’anabattista Giacomo. Quel fantasma gli fissò gli occhi addosso, cominciò a piangere, e gli saltò al collo. Candido spaventato si tira indietro.
— Ahimè dice un miserabile all’altro, non ravvisate il vostro caro Pangloss?
— Che ascolto? Voi il mio caro maestro! Voi in questo orribile stato! Che sciagura v’è dunque accaduta?
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