Perchè non siete voi più nel bellissimo fra i castelli? E di Cunegonda, la perla delle donzelle, il capolavoro della natura che n’è?
— Io non ne posso più, dice Pangloss.
Candido lo mena immediatamente alla stalla dell’anabattista, ove gli dà del pane a mangiare, e riavuto che fu alquanto:
— Ebbene: e Cunegonda? gli chiese.
— Cunegonda è morta, rispose quegli.
Candido svenne a tai detti; l’amico lo fece ritornare in sè con del cattivo aceto che per caso si trovò nella stalla. Riapre Candido gli occhi:
— Cunegonda è morta! O mondo l’ottimo dei possibili dove sei tu? Ma di qual male è ella morta? Forse d’avermi veduto scacciare dal bel castello del signor padre a furia di gran pedate!
— No, risponde Pangloss, ella è stata sventrata da soldati Bulgari: dopo esser stata oltraggiata quanto esser si possa. Al barone, che voleva difenderla, è stata fracassata la testa; la baronessa tagliata a pezzi, il mio povero pupillo trattato per appuntino come la sorella; e del castello non n’è rimasto pietra sopra pietra, non un granajo, non un montone, non un’anatra, non un sol albero: ma abbiamo avuta la rivincita; perchè gli Abari han fatto l’istesso di una baronia vicina che apparteneva a un signore bulgaro.
A questo discorso Candido tornò a svenire; ma rinvenuto che fu, e detto quel che avea a dire, s’informò della causa e dell’effetto, e della ragion sufficiente, che aveva ridotto Pangloss a un sì compassionevole stato.
— Ahimè disse l’altro, questo è l’amore; l’amore, il conforto dell’uman genere, il conservatore dell’universo, l’anima di tutti gli esseri sensibili, il tenero amore.
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