A Cunegonda scapparon quasi le risa, e le parve molto ridicola quella povera vecchia a pretendere di esser più infelice di lei. — Eh cara mia, le disse ella, quando non siate stata offesa da due Bulgari invece di uno, quando non abbiate ricevuto due coltellate nella pancia, quando non siano stati demoliti due de’ vostri castelli e scannati sotto i vostri occhi due vostre madri, e due padri, e frustati due vostri amanti in un auto-da-fè, non vedo che possiate superarmi in disgrazia. Aggiungete che nata son io baronessa con settantadue quarti di nobiltà, e che sonmi ridotta a far da cucina. — Ah signorina, rispose la vecchia, voi non sapete qual è la mia nascita, e se io vi mostrassi il mio bel di Roma non parlereste così, e sospendereste il vostro giudizio. Questo discorso risvegliò nell’animo di Cunegonda e di Candido un’estrema curiosità. La vecchia lor parlò in questi termini:
CAPITOLO XI.
Istoria della vecchia.
“Io non son stata sempre cogli occhi cisposi e orlati di scarlatto, il mio naso non è sempre andato a ritoccarsi col mento, nè sempre serva stata son io. Io son figlia di papa Urbano decimo, e della principessa di Palestrina. Fui fino all’età di quattordici anni allevata in un palazzo, a cui tutti i castelli dei vostri baron tedeschi avrian potuto servir di stalla; e valeva più un de’ miei abiti che tutte le magnificenze della Vesfalia. Crescevo in bellezza, in grazia, e in talento, in mezzo a’ piaceri, agli ossequi ed alle speranze, e inspiravo già amore: quali occhi! quali palpebre! quai ciglia! quali fiammelle scintillavano dalle mie pupille, e oscuravano il fulgore delle stelle! come diceanmi i poeti del luogo.
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