Si videro noi attorniati da una cinquantina d’Orecchioni armati di frecce, di clave, e di asce di sasso; gli uni facean bollire una gran caldaja, gli altri preparavano degli spiedi gridando tutti: — È un gesuita, è un gesuita, noi saremo vendicati; e faremo un buon pasto, mangiamo un gesuita, mangiamo un gesuita!
— Io ve l’aveva detto, mio caro padrone, grida afflitto Cacambo, che quelle due giovani ci avrebbero fatto un cattivo tiro.
Candido, scorgendo la caldaja e gli spiedi grida: “Noi certamente saremo arrostiti e lessati. Ah, che direbbe il maestro Pangloss s’egli vedesse come la pura natura è fatta? Tutto va bene; lo sia pure, ma io provo che è cosa crudele l’aver perduta la bella Cunegonda, e l’esser infilato su uno spiede dagli Orecchioni.”
Cacambo non si smarrì mai: — Non disperate di nulla, diss’egli all’afflitto Candido: io intendo un poco il gergo di questi popoli. — Non lasciate dice Candido, di far loro vedere qual orribile inumanità è quella di cuocer gli uomini, e che non è da cristiani. — Signori, dice Cacambo, voi credete dunque di mangiar oggi un gesuita: benissimo fatto; niente v’è di più giusto che il trattar così i propri nemici; in fatti il diritto naturale c’insegna ad uccidere il nostro prossimo, e questo si costuma ancora in tutta la terra. Se noi non usiamo del diritto di mangiar gli uomini, è perchè abbiamo d’altra parte di che scialare, ma voi non avete il medesim rinfranco di noi; certamente è meglio mangiare i suoi nemici, che abbandonare ai corvi e alle cornacchie i frutti di sua vittoria; ma, signori, voi non vorreste mangiar il vostro amico, voi credete d’infilare e arrostire un gesuita; ed egli è un vostro difensore, un nemico de’ vostri nemici: per me, io son nato nel vostro paese, e questo signore che vedete è mio padrone; che ben lungi d’essere un gesuita, ne ha poc’anzi ammazzato uno, e ne porta le spoglie.
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