I due viaggiatori ebbero l’ardire d’abbandonarsi al flutto, sotto quella volta. Il fiume, chiuso in quello stretto, portava con una rapidità e un fracasso terribile. In termine di ventiquattr’ore rividero la luce, ma il lor barchetto si fracassò negli scogli, onde bisognò strascinarsi di rupe in rupe e per una lega intera; finalmente discuoprirono un orizzonte immenso contornato di montagne inaccessibili. Il paese era coltivato sì per piacere, come per bisogno, e da per tutto il prodotto era aggradevole. Le strade eran coperte, o piuttosto adornate di vetture, d’una forma e d’una materia brillante, portando addentro degli uomini e delle donne d’una bellezza singolare, condotte rapidamente da grossi montoni rossi, che sorpassavano in corporatura i più bei cavalli d’Andalusia, di Tituano e di Mequinez.
— Ecco a buon conto, disse Candido, un paese che val più della Wesfalia.
Mise i piedi a terra con Cacambo al primo villaggio che gli si presentò. Alcuni ragazzi, coperti di un broccato d’oro tutto stracciato, giuocavano alle piastrelle all’entrata del borgo. I nostri due uomini dell’altro mondo s’occupavano ad osservarli; le loro piastrelle erano tonde, assai larghe, gialle, rosse, verdi, e gettavano uno splendore singolare; venne voglia ai viaggiatori di raccoglierne alcune, e videro ch’erano d’oro, di smeraldi, di rubini, la minor delle quali sarebbe stato il più grand’ornamento del trono del Mogol. — Senza dubbio, disse Candido, questi ragazzi sono i figli del re del paese, che giocano alle piastrelle.
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