Apparve in quel momento il maestro del villaggio per ricondurli a scuola: — Ecco, dice Candido, il precettore della famiglia reale.
Quei baroncelli abbandonaron tosto il giuoco, lasciando in terra le lor piastrelle e tutto ciò che aveva servito al lor divertimento. Candido le raccolse, corse dal precettore, e gliele presentò umilmente, facendogli intendere, a forza di cenni, che le loro altezze reali si erano dimenticate del loro oro e delle loro gemme. Il maestro del villaggio, sorridendo, le gettò per terra, guardò un momento la figura di Candido con stupore e continuò il suo cammino.
I viaggiatori non lasciarono di raccorre l’oro, i rubini e gli smeraldi. — Dove siamo noi? grida Candido: bisogna che i figli del re di questo paese sieno bene educati, perché s’insegna loro a sprezzar l’oro e le gemme.
Cacambo n’era meravigliato al par di Candido. Si avvicinarono in fine alla prima casa del villaggio, la quale era fabbricata come un palazzo europeo; una folla di popolo si affrettava verso la porta, e più ancora al di dentro; si faceva sentire una musica graziosissima e un odor delizioso di cucina. Cacambo s’appressò alla porta, e sentì che si parlava peruviano; era questo il suo linguaggio materno, poiché ognun sa che Cacambo era nato al Tucuman, in un villaggio ove non si conosceva che questa lingua. — Io vi servirò d’interprete, disse a Candido; entriamo, qui v’è un’osteria.
Immediatamente due giovani e due ragazze dell’osteria, vestite di drappi d’oro e guarnite i capelli di nastri, li invitano a porsi a tavola.
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