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      — Oh, ecco un Cicerone, dice Candido, io credo che vostr’eccellenza non lascerà punto di leggere cotesto grand’uomo. — Io non lo leggo mai, risponde il Veneziano: che m’importa ch’egli abbia difeso la causa di Rabirio o di Cluenzio? Ne ho d’avanzo de’ processi da giudicare; mi sarei adattato a leggere le sue opere filosofiche, ma quando mi son accorto che ei dubitava di tutto, ho concluso che io ne sapeva quanto lui, e che non avevo bisogno d’alcuno per essere ignorante.
      — Oh, ecco là ottanta volumi di raccolte d’un’accademia di scienze, dice Martino, può essere che in quelle vi sia del buono. — Ve ne sarebbe, risponde Pococurante, se un degli autori di coteste bagatelle avesse inventato almen l’arte di far delle spille; ma non v’è in tutti que’ libri che vani sistemi, e niuna cosa utile.
      — Quante opere di teatro io vedo là! dice Candido, in italiano, in spagnuolo, e in francese. — Sì, osserva il senatore. Ve ne son tremila, ma non ve ne saran tre dozzine delle buone. Quelle raccolte poi di sermoni, che tutti insieme non vagliono una pagina di Seneca, e tutti que’ gran volumi di teologia, credetelo, non si aprono mai, né da me né da alcuno.
      Vide Martino degli scaffali carichi di libri inglesi. — Io credo, diss’egli, che un repubblicano abbia ordinariamente ad aver piacere di cotesti libri, scritti liberamente. — Sì, rispose Pococurante, è bello scrivere ciò che si pensa, ed è questo un privilegio dell’uomo: in tutta la nostra Italia non si scrive se non quel che non si pensa. Coloro che abitano la patria di Cesare, e degli Antonini non osano aver un’idea, senza la permissione di un domenicano.


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Candido o L'ottimismo satirico
di Voltaire (François Marie Arouet
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 151

   





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