— Ahimè, diss’egli sottovoce a Martino, io ho ben paura che quest’uomo abbia un sommo disprezzo per i nostri poeti alemanni. — Non vi sarebbe gran male, dice Martino. — Oh che uomo superiore! dicea pur Candido fra’ denti. Che spirito è questo Pococurante! Non può niente piacergli.
Dopo di aver fatta così la rivista di tutti i libri, discesero nel giardino; Candido ne lodò tutte le bellezze. — Io non so di cattivo gusto, disse il padrone: noi abbiam qui delle figurine, ma dopodomani voglio farvene porre d’un disegno più nobile.
Allorchè i due visitatori si furono licenziati da sua eccellenza, Candido chiese a Martino:
— Voi dunque converrete meco, che quello è il più felice di tutti gli uomini, perché è al di sopra di tutto ciò che possiede.
— E non vedete voi, rispose Martino, che di tutto ciò che possiede egli è disgustato? Platone disse, molto tempo fa, che i migliori stomaci non son quelli che rigettano tutti gli alimenti.
— Ma, disse Candido, non è un piacere a criticar tutto? A trovar de’ difetti, dove gli altri uomini credon vedere delle bellezze?
Intanto i giorni e le settimane passavano; Cacambo non tornava, e Candido era immerso nel dolore.
CAPITOLO XXV.
D’una cena che Candido e Martino fecero con sei forestieri, e chi erano.
Una sera che Candido, seguitando Martino andava a porsi a tavola co’ forestieri che alloggiavano nella stessa osteria, un uomo col viso color di fuliggine, gli andò di dietro, e gli disse:
— Siate pronto a partir con noi; non mancate.
Ei si voltò, e vide Cacambo.
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