I cinque altri re ascoltarono questo discorso con una nobile compassione; ciascuno di essi dette venti zecchini al re Teodoro per comprarsi degli abiti e delle camicie, e Candido gli regalò un diamante di due mila zecchini.
— Chi è dunque, diceano gli altri cinque re, questo semplice particolare che è in istato di dare cento volte più di ciascuno di noi, e che lo dà?
Nell’istante in che s’usciva da tavola, ecco nell’osteria quattro altezze serenissime che avean pure perduti i lor Stati per la sorte della guerra, e che venivano a passare il resto del carnevale a Venezia: ma Candido non ci badò nemmeno, non pensando ad altro che di andare a trovar la sua cara Cunegonda a Costantinopoli.
CAPITOLO XXVI.
Viaggio di Candido a Costantinopoli
Il fedele Cacambo avea già ottenuto la permissione dal padrone turco, che andava a ricondurre il sultano Acmet a Costantinopoli, di potere ricevere a bordo Candido e Martino. L’uno e l’altro vi si trasferirono dopo d’essersi inchinati avanti a sua miserabile altezza. Candido, nell’andare a bordo, disse a Martino: — Ecco intanto sei re detronizzati, co’ quali abbiamo cenato, e fra questi sei re ve n’è ancora uno a cui ho fatto l’elemosina, Vi saranno forse altri principi molto più infelici; per me io non no perduto se non cento montoni, e volo nelle braccia a Cunegonda: mio caro Martino, qualche volta Pangloss avea ragione tutto è bene. — Io lo desidero, rispose Martino. — Ma, ripigliò Candido, è un’avventura ben poco verosimile quella che ci si è presentata a Venezia; non si era giammai veduto nè udito che sei re detronizzati si trovassero a cenar insieme all’osteria.
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