— Questo non è più stravagante, disse Martino, di tante altre cose che ci sono accadute. È cosa comunissima che vi sieno de’ re balzati dal trono, e rispetto all’onore che abbiamo avuto di cenar con loro, è una bagattella che non merita la nostra attenzione.
Appena che Candido fu nel vascello, saltò al collo del suo antico servo, del suo amico Cacambo: — Ebbene, gli disse, che fa Cunegonda? è ella sempre un prodigio di bellezza? mi ama ella sempre? come sta ella? Tu gli hai senza dubbio comprato un palazzo a Costantinopoli?
— Mio caro padrone, rispose Cacambo, Cunegonda rigoverna le scodelle sulle sponde della Propontide, in casa di un principe che ha pochissime scodelle; ella è schiava in casa d’un antico sovrano chiamato Ragotski, a cui il Gran Turco dà tre scudi il giorno, e l’asilo; ma ciò che è ben più tristo, si è che ella ha perduta la sua bellezza ed è diventata orribilmente brutta. — Ah! o bella o brutta, dice Candido, io son galantuomo, e il mio dovere è di amarla sempre; ma come mai può ella essersi ridotta in uno stato si miserabile co’ cinque o sei milioni che tu avevi portati? — Buono! dice Cacambo, non mi è abbisognato di dare due milioni al signor don Fernando d’Ibaraa y Figueora y Mascarenes y Lampourdos y Souza, governatore di Buenos-Aires, per ottenere Cunegonda? Ed un pirata non ci ha bravamente spogliati di tutto il resto? Questo pirata non ci ha egli condotti al capo di Matapan, a Milo, a Nicaria, a Samos, a Petra, a Dardanelli, a Marmora, a Scutari? Cunegonda e la vecchia servono quel principe, di cui vi ho parlato, ed io son schiavo del sultano detronizzato.
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