— Che spaventevoli calamità concatenate le une alle altre! dice Candido; ma finalmente io ho ancora alcuni diamanti, e libererò facilmente Cunegonda. Ma è un peccato che sia divenuta sì brutta.
Indi rivolgendosi a Martino: — Chi pensate voi che sia più degno di compassione l’imperatore Acmet, l’imperatore Ivan, il re Carlo Odoardo, od io?
— Non lo so, risponde Martino, bisognerebbe che io fossi ne’ loro cuori per saperlo. — Ah, dice Candido, se fosse qui Pangloss ei lo saprebbe. — Io non so, ripiglia Martino con quali bilance il vostro Pangloss potrebbe pesare l’infelicità degli uomini e valutare i lor dolori; io son di sentimento che vi sieno de’ milioni d’uomini sulla terra da compiangersi molto più del re Carlo Odoardo, dell’imperatore Ivan e del sultano Acmet. — Potrebb’essere risponde Candido.
Arrivarono in pochi giorni sul canale del mar Nero. Candido cominciò dal riscattare Cacambo a caro prezzo e senza perder tempo, s’imbarcò sopra una galera co’ suoi compagni, per andare sulla riva della Propontide a cercar Cunegonda, per quanto brutta esser potesse.
Vi erano fra la ciurma due forzati che remavano malissimo, e a’ quali il padrone levantino applicava di tempo in tempo alcune nerbate sulle nude spalle. Candido, per una naturale compassione, gli osservava più attentamente degli altri galeotti, e s’avvicinò tutto pietoso verso di loro. Alcuni tratti del viso disfigurato di due di quei miserabili gli parvero aver qualche similitudine con Pangloss, e col disgraziato gesuita, quel barone, quel fratello di madamigella Cunegonda.
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