Chiesi di tornare a Roma presso il padre generale, e fui nominato per servire quale elemosiniere a Costantinopoli l’ambasciatore di Francia. Non erano otto giorni ch’io era entrato in funzione, quando trovai sulla sera un giovine turco; facea molto caldo; il giovine volle bagnarsi, ed io presi quell’occasione per bagnarmi anch’io. Io non sapea che fosse un delitto capitale per un cristiano l’esser trovato nudo con un giovine musulmano; un cadì mi fece dare cento bastonate sotto le piante de’ piedi, e mi condannò alla galera. Io credo che non possa darsi una più orribile ingiustizia. Ma vorrei sapere perchè mia sorella è nella cucina d’un principe di Transilvania, rifugiato fra’ Turchi? —
— Ma voi, mio caro Pangloss, come può darsi che io vi riveda? — È vero, dice Pangloss che voi mi avete veduto impiccare; io dovea naturalmente esser bruciato, ma vi ricorderete che piovve a distesa, allorchè si volea cuocermi; la tempesta fu sì violenta, che si disperò di accendere il fuoco; fui impiccato, perchè non si potea fare di meglio; un chirurgo comprò il mio corpo, e mi condusse a casa sua per notomizzarmi. Mi fece tosto un’incision crociale dall’ombelico fino alla clavicola. Io non potea essere stato impiccato peggio di quel che lo era: l’esecutore dell’alte opere della santa Inquisizione, il quale era suddiacono, bruciava invero la gente a maraviglia, ma non era accostumato ad impiccare: la corda era bagnata, e scorse male: il nodo era altresì mal fatto; insomma io respirava ancora.
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