Fui menato dal cadì, egli mi fece dare cento staffilate sotto le piante de’ piedi, e mi condannò alla galera. Fui incatenato appunto nella galera e al banco medesimo del signor barone. V’erano in quella galera quattro giovani marsigliesi, cinque preti napolitani, e due frati di Corfù, i quali ci dissero che simili avventure accadevano tutti i giorni. Il signor barone pretendeva d’aver sofferto una ingiustizia maggiore della mia; noi disputavamo senza fine, e ricevevamo venti nerbate il giorno, quando il concatenamento degli eventi di quest’universo vi ha a noi condotto.
— Ebbene, mio caro Pangloss, gli dice Candido, quando voi siete stato impiccato, notomizzato, arruotato, ed avete remato nella galera, avete sempre pensato che tutto andava ottimamente? — Io son sempre del mio primo sentimento, risponde Pangloss, perchè finalmente essendo io filosofo, non mi conviene il disdirmi. Leibnitz non può aver torto, e l’armonia prestabilita è la più bella cosa del mondo, come il pieno e la materia sottile.
CAPITOLO XXVIII.
Come Candido ritrova Cunegonda e la vecchia.
Mentre Candido, il barone, Pangloss, Martino e Cacambo raccontavano le loro avventure, e ragionando sugli avvenimenti contingenti e non contingenti di quest’universo, disputavano sugli effetti e le cause, sul mal morale e sul mal fisico, sulla libertà e la necessità, sulle consolazioni che si possono provare trovandosi in galera in Turchia, approdarono sulle rive della Propontide alla casa del principe dì Transilvania. I primi oggetti che si presentarono loro furono Cunegonda e la vecchia, che stendevano alcuni tovagliuoli sopra le funi per farli asciugare.
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