— Maestro Pangloss, diceva egli, se noi siamo nati nel migliore de’ mondi possibili, mi confesserete almeno che non è un godere della porzione di felicità possibile, il vivere ignoto in un piccolo angolo della Propontide, senza altri conforti che quelli delle mie braccia, che potrebbero un giorno mancarmi; senz’altri piaceri che quelli che mi procura Cunegonda, che è molto brutta, e, quel ch’è peggio, è mia moglie; senz’altra compagnia che la vostra, che qualche volta m’annoja, o quella di Martino che m’attrista, o quella della vecchia che fa racconti da far dormire in piedi.
Allora Pangloss prese a parlare e disse: — La filosofia c’insegna che le monadi divisibili in infinito, si dispongono con una intelligenza meravigliosa per comporre i differenti corpi che osserviamo nella natura. I corpi celesti son quello che devono essere: essi descrivono i cerchi che devono descrivere; l’uomo inclina a quel che doveva inclinare: egli è quel che doveva essere, e fa quel ch’ei doveva fare. Voi vi lamentate, o Candido, perché la monade dell’anima vostra s’annoja; ma la noja è una modificazione dell’anima, e non impedisce che tutto non sia per il meglio, tanto per voi che per gli altri. Quando mi avete veduto tutto coperto di piaghe, io non sosteneva meno il mio sentimento; perché se ciò non fosse stato, io non v’avrei incontrato in Olanda, non avrei dato cagione all’anabattista Giacomo di fare un’opera meritoria, non sarei stato impiccato a Lisbona, per edificazione del prossimo, non sarei qui a sostenervi co’ miei consigli e farvi vivere e morire nell’opinione leibnitziana.
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