— Ah! rispose il nostro eroe, io non fui felice che per metà, dietro un paravento, ove stavo non troppo ad agio. Cunegonda era bella allora...
In quel tempo uno de’ più saldi sostegni della milizia monacale di Persia, il più dotto dei dottori maomettani, che sapeva l’arabo sulla punta delle dita, ed anche il greco che si parla oggigiorno nella patria di Demostene e di Sofocle, il reverendo Ed-Ivan-Baal-Denk tornava da Costantinopoli ov’egli era andato a conversare col reverendo Mamud Abram sopra un punto di dottrina ben delicato, cioè se il profeta avesse strappata dall’ale dell’angelo Gabriele la penna di cui si servì per scrivere l’Alcorano, o se Gabriele glien’avesse fatto un presente. Essi disputarono per tre giorni e tre notti con un calore degno de’ più be’ secoli della controversia; e il dottore se ne tornava persuaso, come tutt’i discepoli d’Alì, che Maometto avesse strappata la penna, e Mamud Abram era restato convinto come il resto de’ settatori di Omar, che il profeta fosse incapace di quella inciviltà, e che l’angelo gli avesse presentata la sua penna col miglior garbo del mondo.
L’arrivo di Candido avea fatto molto strepito in Tauride, e più persone che l’aveano sentito discorrere degli effetti contingenti e non contingenti, avevano sospettato ch’ei fosse filosofo. Se ne parlò al reverendo Ed-Ivan-Baal-Denk, ed egli ebbe la curiosità di vederlo, e Raab che non potea ricusar nulla a una persona di quella considerazione, fece venir Candido in sua presenza. Parve soddisfattissimo della maniera con cui Candido parlò del mal fisico e del mal morale, dell’agente e del paziente.
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