È qualche tempo che il ricco Mehemet chiese in isposa la figlia del giannizzero Tamud; essa non era fanciulla, e secondo un principio ben naturale lo sposo, autorizzato dalle leggi, la rimandò a suo padre dopo d’averla sfregiata. Tamud, oltraggiato da un tale affronto, ne’ primi trasporti d’un furore ben naturale, con un colpo di scimitarra svelse dal busto della figlia quel volto disfigurato. Il suo figlio primogenito, saltò addosso al padre, e inviperito di rabbia gl’immerse naturalmente un acutissimo pugnale nel petto; dipoi come un leone che s’infuria a vedersi grondar di sangue, l’arrabbiato Tamud corse da Mehemet, rovesciò alcuni schiavi che s’opposero a’ suoi passi, e trucidò a pezzi Mehemet, le sue donne e due figli, il che è ben naturale nella situazione violenta in cui egli flnalmente si trovava. Egli poi finì per darsi la morte collo stesso pugnale fumante del sangue di suo padre, e de’ suoi nemici, il che pure è ben naturale. — Oh quali orrori! grida Candido. Che direste voi, maestro Pangloss, se trovaste tali barbarie nella natura? Non confessereste voi che la natura è corrotta, che tutto non è... — No, disse il vecchio, perchè l’armonia prestabilita... — Oh cielo! non m’ingannate? È Pangloss quel ch’io rivedo? dice Candido. — Son io, rispose il vecchio: vi ho riconosciuto, ma ho voluto penetrare nei vostri sentimenti prima di scoprirmi; qua: discorriamo un poco sugli effetti contingenti, e vediamo se avete fatto de’ progressi nell’arte della sapienza... — Ah, dice Candido voi scegliete ben male il vostro tempo; fatemi piuttosto sapere quel ch’è avvenuto di Cunegonda e dov’è la figlia di papa Urbano.
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