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      — Che sento? dice un uffiziale dell’eccelsa Porta. Disgraziato, e puoi tu dire che tutto è bene, quando la metà di Costantinopoli è in fuoco e in fiamma? Va, cane maledetto dal Profeta, va a ricevere il castigo della tua audacia.
      Dicendo queste parole, prese Pangloss per la vita, e lo precipitò nelle flamme. Candido, mezzo morto, si strascinò come potè in un quartier vicino, ove le cose eran più tranquille; e noi vedremo ciò che accadde nel capitolo seguente.
     
     
      CAPITOLO IX.
     
      Candido continua a viaggiare, ed in qual qualità.
     
      — Io non ho altro partito da prendere, diceva il nostro filosofo, che quello di farmi schiavo o turco; la fortuna mi ha abbandonato per sempre. Un turbante corromperebbe tutt’i miei piaceri: io mi sento incapace di provare la tranquillita dell’anima in una religione piena di imposture, e nella quale non sarei entrato che per un vile interesse. No, non sarei mai contento se io cessassi d’esser galantuomo. Facciamoci dunque schiavo.
      Presa questa risoluzione, si mise Candido in dovere di eseguirla. Egli scelse un mercante armeno per padrone. Era questi un uomo di buonissimo carattere, e che passava per virtuoso quanto può esserlo un armeno. Egli diede dugento zecchini a Candido per prezzo della sua libertà. L’armeno era sul punto di partire per la Norvegia, e con sè condusse Candido, sperando che un filosofo gli sarebbe utile nel suo commercio. S’imbarcarono, ed il vento fu loro sì favorevole, che non impiegarono la metà del tempo che si mette ordinariamente per fare un simil tratto; non ebbero neppur bisogno di comprare del vento dai maghi della Lapponia, e si contentarono di dar loro de’ rinfreschi, purchè non fosse loro turbata la buona fortuna con gli incantesimi, come accade qualche volta, se si deve credere al Dizionario di Moreri.


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Candido o L'ottimismo satirico
di Voltaire (François Marie Arouet
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 151

   





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