— E maggiormente v’ammiro, signorina; voi m’incantate, voi mi rapite; siete un angelo che il cielo m’ha inviato per illuminarmi sopra i sofismi del maestro Pangloss. Povero animale ch’io era! Dopo d’aver sopportato un numero prodigioso di pedate, di frustate sulle spalle, di nerbate sotto le piante de’ piedi; dopo d’aver sopportato un terremoto; dopo d’aver assistito all’impiccagione del dottor Pangloss e averlo veduto abbruciare poco fa; dopo d’essere stato preso per decreto del Divano, e battuto da alcuni filosofi, io credeva pure che tutto andasse bene. A ch’io ne son ben disingannato! Intanto la natura non mi è parsa mai tanto bella, quanto allora ch’io vi ho veduta. I concerti campestri degli uccelli suonano al mio orecchio con una armonia che fino a questo giorno io non conosceva; tutto si anima, e il sentimento che mi invade, pare che imprima un altro colore su tutti gli oggetti: io più non sento quella molle languidezza che provava ne’ giardini che avevo a Sus. Quel che voi m’ispirate è differente assolutamente. — O via, finiamola, disse Zenoide, il seguito de’ vostri discorsi potrebbe offendere la mia delicatezza, e voi dovete rispettarla. — Tacerò, disse Candido, ma il mio fuoco non sarà che più ardente.
Pronunziando queste parole riguardò Zenoide, si avvide che ella arrossiva, e da uomo esperto concepì le più lusinghiere speranzeLa giovine danese scansò per qualche tempo ancora di trovarsi con Candido. Un giorno ch’ei passeggiava in fretta nel giardino degli ospiti, diede in un trasporto amoroso.
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