Ardì alzare gli sguardi e credè di vedere scritto il suo perdono ne’ begli occhi di lei — Caro amante, gli diss’ella, la mia collera coprirebbe malamente i trasporti che autorizza il mio cuore. Fermati per altro; tu mi rovineresti nell’opinione degli uomini, e saresti poco capace d’amarmi se io diventassi l’oggetto de’ loro disprezzi: fermati, e rispetta la mia debolezza.
Non riferiremo tutta quella conversazione interessante; ci contenteremo di dire che l’eloquenza di Candido abbellita dall’espressioni amorose, ebbe tutto quell’effetto che egli potea aspettare sopra una filosofessa giovine e sensibile.
Questi amanti, i cui giorni passavano per l’innanzi fra la mestizia e fra l’inquietudine, parvero felici; il silenzio delle foreste, le montagne coperte di bronchi e spine, ed attorniate da precipizj, le pianure gelate, i campi ripieni d’orrore de’ quali erano circondati, li persuasero maggiormente del bisogno ch’essi avevano di amarsi. Erano risoluti a non abbandonare quella solitudine orribile, ma il destino non era stanco di perseguitarli, come lo vedremo nel capitolo seguente.
CAPITOLO XIII.
Arrivo di Volhall. Viaggio a Copenaghen.
Candido e Zenoide trattenevansi sull’opere della divinità, sul culto che gli uomini devono rendergli, su i doveri che li uniscono fra loro, e specialmente sulla carità, virtù d’ogni altra virtù più utile al mondo, e non vi s’occupavano con declamazioni frivole; insegnava Candido ai giovinetti il rispetto dovuto al freno sacrato delle leggi; Zenoide istruiva ragazze su quanto doveano a’ lor parenti, ed ambi si riunivano per gettare in quei giovani cuori i fecondi semi della religione.
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