Un giorno ch’essi si dedicavano in quelle pie occupazioni, venne Suname ad avvertire ch’era arrivato un vecchio signore accompagnato da molti domestici, e che al ritratto che le avea fatto di quella ch’ei cercava, non aveva potuto dubitare che non fosse la bella Zenoide. Quel signore seguiva Suname alle calcagna ed entrò quasi nel tempo stesso di lei nel luogo ov’erano Zenoide e Candido.
Svenne Zenoide alla sua vista, ma poco sensibile a spettacolo compassionevole, la prese Volhall per mano e la tirò con tanta violenza ch’ella rinvenne; ma non rinvenne che per spargere un rio di lacrime. — Mia nipote, le diss’egli con un sorriso amaro, io vi trovo in molto buona compagnia: non mi stupisco che la preferiate al soggiorno della capitale, alla mia casa, alla vostra famiglia. Sì, signore, rispose Zenoide, io preferisco i luoghi ove abitano la semplicità e il candore, al soggiorno del tradimento e dell’impostura. Io non rivedrò che con orrore quel luogo ov’ebbero principio le mie sventure, ove ho ricevuto tante prove del vostro nero carattere, ove non ho altri parenti che voi... — Signorina, replicò Volhall, voi mi seguirete, se vi piace; quand’anche doveste svenire un’altra volta.
Così dicendo, la strascinò seco, e la fe’ montare in un calesse che l’attendea. Ella ebbe appena tempo di dire a Candido di seguirla, e partì benedicendo i suoi ospiti e promettendo loro di ricompensare i generosi servigi ricevuti.
Un domestico di Volhall ebbe compassione del dolore in cui Candido era immerso; credendo ch’ei non avesse altro affetto per la giovine danese, fuor quello che inspira la virtù infelice, gli propose di andare a Copenaghen, e gliene facilitò i mezzi; fece di più; gl’insinuò che potrebbe essere ammesso al numero de’ domestici di Volhall, s’ei non avesse altro modo che il servizio per tirare avanti.
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