Erano alcuni giorni che aveva scorto un volto che si assomigliava a quello di Cunegonda e l’aveva ritrovato ancora alla corte di Volhall; questa tal persona era malissimo vestita e non vi era apparenza che una favorita d’un gran maomettano si trovasse nel cortile d’un palazzo a Copenaghen. Intanto quell’oggetto disaggradevole osservava Candido con moltissima attenzione: quell’oggetto s’avvicinò tutt’a un tratto, e acciuffando Candido per i capelli gli diede il più sonoro schiaffo ch’egli avesse mai ricevuto. — Io non m’inganno, grida il nostro filosofo: oh cielo! chi l’avrebbe mai creduto? che cosa venite a far qui dopo d’esservi lasciata sedurre da un settatrio di Maometto? Andate, perfida sposa, io non vi conosco. — Tu conoscerai i miei furori, replicò Cunegonda: io so la vita che tu meni, il tuo amore per la nipote del tuo padrone, e il tuo disprezzo per me. Ahimè! son tre mesi che ho lasciato il serraglio, perchè non ero più buona a niente; comprommi un mercante per ricucir la sua biancheria, e mi condusse con lui in un viaggio che fece per queste coste. Martino e Cacambo ch’egli avea pur comprati erano nello stesso viaggio: il dottor Pangloss, per il caso più strano del mondo, trovossi nello stesso vascello in qualità di passeggiere. Naufragammo qualche miglio lontano di qui; io scampai dal periglio col fedele Cacambo: qui ti rivedo e ti rivedo infedele. Tremane, e temi quanto si può temere una donna irritata!
Era Candido tutto stupefatto da quella affettuosa scena e lasciava andar Cunegonda, senza pensare a quanto dobbiamo riguardarci da chi conosce il nostro segreto, quando gli si fece innanzi Cacambo.
| |
Cunegonda Volhall Copenaghen Candido Candido Maometto Cunegonda Cacambo Pangloss Cacambo Candido Cunegonda Cacambo
|