Entrarono in quell’osteria; una truppa di contadini e di contadine ballavano in mezzo al cortile, al suono di alcuni cattivi strumenti; spirava il brio da tutti i volti, ed era uno spettacolo degno del pennello di Vatteau. Tosto che apparve Candido, una ragazza lo prese per mano e lo invitò a ballare. — Mia bella signorina, rispose Candido, quando si è perduta la sua amante, che si è ritrovata la moglie, e che si è saputo che il gran Pangloss è morto, non si ha voglia niente affatto di far capriole; dall’altro canto, io devo ammazzarmi domani mattina, e voi vedete che un uomo che ha poche ore da vivere, non deve perderle a ballare.
Allora Cacambo s’appressò a Candido, e gli disse: — La passione della gloria fu sempre quella de’ gran filosofi. Catone in Utica s’ammazzò dopo aver ben dormito: Socrate ingojò la cicuta dopo essersi famigliarmente trattenuto co’ suoi amici: più inglesi si sono abbruciati il cervello nell’uscir da pranzo; ma nessun grand’uomo, che io sappia, si è tagliata la gola dopo d’aver ben ballato; a voi, mio caro padrone, questa gloria è riservata; fate a mio modo, danziamo a crepa pancia, e doman mattina ci ammazzeremo. — Non hai tu osservato, rispose Candido, quella contadinella brunetta quanto è piacevole? — Ella ha un non so che di seducente disse Cacambo. Mi ha stretto la mano, riprese il nostro filosofo. Cospetto! s’io non avessi il cuor ripieno di Zenoide.
La brunetta interruppe Candido, e di nuovo lo invitò.
Il nostro eroe lasciossi andare, ed eccolo che balla colla miglior grazia del mondo.
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