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      — Ah! dice Candido, tutt’i quarti del mondo senza la bellezza... La signora Cunegonda era molto brutta, quando io ebbi l’imprudenza di sposarla; ella è tornata bella, ed un altro vide i suoi vezzi; ella è tornata brutta, e volete che io le ridia la mano? No per certo, mio reverendo padre: rimandatela nel suo serraglio di Costantinopoli. Ella mi ha fatto troppo danno in questo paese. — Lasciati compungere, ingrato, disse Cunegonda, facendo contorsioni spaventevoli; non obbligare il signor barone, ch’è prete, ad ammazzarci tutti e due per lavare nel nostro sangue la sua vergogna. Mi credi tu capace d’aver mancato di buona voglia alla fedeltà che io ti doveva? Che volevi tu ch’io facessi in faccia a un padrone che mi trovava bella? Ecco il mio delitto, e questo non merita la tua collera. Un delitto più grave agli occhi tuoi è quello di averti rapito la tua amante, ma questo delitto deve darti prova del mio amore. Senti, mio caro Candido, se mai ritorno bella, se... ciò non sarà che per te, mio caro Candido: noi non siamo più in Turchia.
      Questo discorso non fece molta impressione in Candido; ei chiese alcune ore per determinarsi sul partito che aveva a prendere. Il signor barone gli accordò due ore, durante le quali ei consultò il suo amico Cacambo. Dopo pesate le ragioni del pro e del contra, essi si determinarono a seguire il gesuita, e la sorella in Alemagna. Ecco che abbandonano l’ospedale, ed in compagnia si mettono in cammino, non già a piede, ma su buoni cavalli, che aveva condotti il baron gesuita, e arrivano sulle frontiere del regno.


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Candido o L'ottimismo satirico
di Voltaire (François Marie Arouet
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 151

   





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