Un grand’uomo d’assai cattiva cera considera attentamente i nostri eroi. — È lui, diss’egli, porgendo gli occhi sopra un pezzetto di carta: signore, s’è lecito, non vi chiamate voi Candido? — Si signore, così mi han sempre chiamato.— Me lo figuravo signore; in fatti voi avete le ciglia nere, gli occhi al pari della fronte, le orecchie d’una mediocre grandezza, il viso tondo e colorito, e per quanto pare, dovete essere di cinque piedi e cinque pollici d’altezza. — Sì, signore, questa è la mia statura; ma che volete voi dalla mia statura e dalle mie orecchie? — Signore, non si può usare tanta circospezione quanta basti nel nostro ministero; permettetemi di farvi ancora un’altra breve dimanda: non avete voi servito il signor Volhall? — Signore, in verità, rispose Candido tutto sconcertato, io non comprendo... — Lo comprendo ben io a maraviglia, che voi siete quello di cui m’è stato mandato il contrassegno. Datevi la pena d’entrare nel corpo di guardia. Soldati, conducete il signore, preparate la camera bassa, e fate chiamare il fabbro per fare al signore una piccola catena di trenta o quaranta libbre di peso. Signor Candido, voi avete là un buon cavallo; avevo giusto bisogno d’un cavallo del medesimo pelame. Ci aggiusteremo.
Il barone non ardì di reclamare il cavallo. Si strascinò Candido, e Cunegonda pianse per quattr’ore. Il gesuita non mostrò alcun dispiacere di quella catastrofe. — Io sarei stato obbligato ad ammazzarlo, e a rimaritarvi, diss’egli alla sorella, ma considerato ogni cosa, quel che accade è molto meglio per l’onore della nostra casa.
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Candido Volhall Candido Candido Candido Cunegonda
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