Imperocchè sebbene tra queste due facoltà si scorga un contrasto, non per tanto questo contrasto è anch'esso armonioso. Non è l'armonia della bellezza, ma è un'armonia di un altro genere. La ragione pende verso l'infinito, l'immaginazione per contrario se ne allontana, chè nel seno dell'infinito vede sparire l'immagine e la forma determinata in cui risiede la propria essenza. L'immaginazione si allontana dall'infinito perchè si sente incapace di comprenderlo, e di figurarlo in un'immagine che gli sia adeguata. Ma appunto perchè ella sente la sua incapacità, già indovina che l'infinito c'è; ed in questo indovinare un mondo sconosciuto consiste l'ufficio del sublime. Il sentire che fa lo spirito i proprî limiti gli arreca anche piacere discoprendo in tal guisa quell'alta regione verso cui lo spinge continuamente il bisogno della ragione, la quale non può altrimenti essere appagata che da questo fuggitivo splendore che le accenna la fantasia. Ed ecco come dalla disarmonia nasce l'armonia dove l'immaginazione colla sua incapacità di afferrare l'infinito, e la ragione colle sue infinite idee si trovano entrambe d'accordo. Ne sia di esempio questo tra gli altri. Io vedo una sterminata pianura, o il mare, o altra simile rappresentazione: io non posso andare più in là di certi confini, e cerco di supplirli coll'immaginazione sforzandomi di rappresentare in un'immagine l'infinito che dall'intuizione sensibile mi viene soltanto accennato. Per quanti sforzi però io potessi fare, non mi riesce mai di trovare questa immagine corrispondente all'infinito, ed intanto la ragione fermamente mi dice che l'infinito ci sia e che io debba tendere a coglierlo.
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