In tal posizione nasce in me un conflitto, o piuttosto una specie di altalena e di oscillazione, per cui lo spirito or s'accosta all'infinito, ed or se ne allontana. Vi si accosta colla ragione che s'intende fatta per lui: se ne allontana colla immaginazione che si trova impotente di esibirlo in una forma. Il sublime dunque non è che per lo spirito: nessun obbietto si potrebbe con proprietà chiamare tale, perchè nessuno può contenere veramente l'infinito. L'oggetto non può servire ad altro che a svegliare come occasione il sentimento del sublime nello spirito. Si vede dunque che il sublime partecipa delle due facoltà dal cui conflitto deriva.
Dalla diversa natura della intuizione sensibile che porge occasione al sublime, Kant lo distingue in sublime matematico ed in dinamico, secondo che l'intuizione si fonda o sullo spazio e sul tempo soltanto, ovvero rappresenta una forza messa in azione.
Tale per sommi capi è la dottrina di Kant sul bello e sul sublime. Rimane ad accennare un'altra cosa, ed è la corrispondenza tra la teoria del bello e la teoria della vita, perchè Kant distinse la teoria del giudizio in due parti, in quella del giudizio estetico, che tratta del bello, e nell'altra del giudizio teleologico, che tratta della vita.
La bellezza e la vita convengono insieme nell'essere entrambe un accordo di due elementi opposti, della necessità e della libertà; della necessità rappresentata dalla natura, e della libertà rappresentata dall'idea. Il bello concilia coll'accordo subbiettivo delle facoltà la varietà sensibile ed esterna coll'unità interna posta liberamente dalla fantasia.
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