In Grecia la Divinità si presenta come una moltiplicità di fini e quindi come una moltiplicità di Dei, i quali rappresentano altrettante potenze fisiche e morali, da cui risulta la bellezza dell'uomo. Qui, come si può facilmente scorgere, l'accordo col fine non è soltanto indirizzato alla conservazione di un popolo eletto, ma viene bensì sollevato a costituire la bellezza e l'armonia dell'ideale umano, cioè l'accordo perfetto fra l'interno e l'esterno.
Gli Dei di Roma, benchè per la somiglianza dei nomi potessero a prima vista sembrare gli stessi di quelli di Grecia, ciò nonostante esprimono un diverso significato. Un critico moderno11 notava che gli Dei di Roma non sono personali ma astratti, ed il contenuto religioso di quel popolo non è la finalità che traspare dal bello individuale, ma la finalità che si concentra nel concetto astratto dello stato. Giove p. e., non è in Roma il Giove omerico, ma il Giove capitolino ed il Giove statore, ed in generale tutti gli Dei latini esprimono la fortuna e la prosperità del popolo romano.
L'ultima forma religiosa si fonda sull'argomento detto ontologico, quello cioè che deduce l'idea di Dio dall'identità della nozione e dell'essere. E poichè questa identità si verifica nello spirito, perciò l'ideale di questa religione è Dio considerato come spirito. Tale è il contenuto del Cristianesimo, che è la perfettissima fra tutte le forme religiose. Non si deve però confondere il Dio cristiano col Jeova ebraico, benchè anche quest'ultimo si chiamasse spirito, perchè altro è lo spirito solitario ed astratto degli Ebrei collocato in una sublime, innaccessibile infinità, ed altro è lo spirito del Dio cristiano il quale s'incarna nell'uomo e si rivela nella coscienza umana.
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