Per tale influenza, della libertà si è fatta una vuota forma che corre dietro ad un ideale che non potrà raggiugnere giammai. Gl'istinti si sono convertiti in ostacoli che impediscono ancora più di conseguirlo.
I primi i quali hanno cercato di ricomporre questa discordia tenuta per irreconciliabile, e che nell'uomo hanno veduto del divino tanto a considerarlo nella sua sfera volitiva quanto nella sensitiva, sono stati Giordano Bruno e Spinoza. Per essi l'accordo non solo è possibile, ma è necessario: la libertà non solo può prendere a suo contenuto le passioni, ma deve prenderle, e volgerle a realizzare l'universale sua essenza. L'individuo non deve vedere nella legge un tiranno estraneo e prepotente, ma la sua propria nozione che tende continuamente a tradursi in atto.
La vera nozione della legge morale si trova dedotta scientificamente la prima volta nell'imperativo categorico di Kant e da lui si può dire che prenda origine la dottrina speculativa della legge e del dovere. Kant dimostrò che la legge morale non può essere estrinseca alla libertà; che una libertà la quale fosse sottoposta ad una legge esterna perderebbe coll'autonomia anche la propria essenza. Una libertà eteronoma, cioè avente una legge in un altro fuori di sè, sarebbe una contradizione nei termini. La libertà è legge a se stessa e nel determinarsi per sè, consiste la moralità delle sue azioni. L'imperativo categorico inchiude un comando di determinarsi assolutamente per sè, e differisce dall'imperativo ipotetico il quale comanda un'azione che serve di mezzo alla felicità. Mentre quest'ultimo imperativo prescrive di far qualche cosa per ottenerne un'altra, l'imperativo categorico al contrario ordina di fare una cosa per se stessa perchè il farla è dovere.
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