Lo Stato si può meritamente dire l'ideale del mondo che lo spirito si crea ad imagine dell'eterna ragione. Il governo è la coscienza attuale di questo ideale, per quanto si è sviluppata in un popolo. Tra Stato e governo corre la stessa relazione che il Vico pone tra il vero e il certo. Quindi segue che lo Stato è sempre uno, ma che le forme di attuazione sono diverse, e che la loro perfezione si misura dall'attuazione più meno completa dell'eterno ideale.
I governi non si debbono dunque giudicare secondo il criterio del numero di quelli che vi prendono parte perchè questa considerazione numerica e quantitativa è meramente estrinseca e superficiale. Il sano criterio per giudicare la rettitudine di un governo è di vedere quanto sia lo sviluppo della libertà che in esso si trova attuato. E quando diciamo libertà, non diciamo sfrenato arbitrio, ma al contrario attività razionale. E poichè il governo dipende dallo sviluppo di questa libertà nella coscienza di un popolo; perciò ogni popolo ha quel governo che merita.
Contro questa teoria si è mosso il rimprovero di insultare alle vittime di un governo dispotico e non meritato. Questo rimprovero ha l'apparenza del vero, ed anche noi conveniamo che in un governo dispotico si possono trovare alcune anime libere e generose. Però questi saranno sempre i pochi e non la maggioranza; ed un governo è fatto per la maggioranza e non già per le eccezioni. Con questo non assolviamo i cattivi governi, ma soltanto ne spieghiamo l'esistenza. La storia assennatamente consultata e guardata nelle sue profonde ragioni è certo d'accordo con questa dottrina.
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