A rinforzare le impressioni del 1867, seguirono le visite che feci lungo il Po, nella ricca e fertile Lombardia, durante le inondazioni del 1872. Quale miseria permanente, assoluta, sopportata con una pazienza che sapeva della disperata pace, pazienza di gente che nulla sperava da alcuno sulla terra! E fui testimone oculare del fatto, che i carabinieri e gl'ingegneri stessi dovettero portare via per forza famiglie dalle case pericolanti, le donne dicendo: «Meglio morire annegati tutti insieme, che morire a uno a uno di fame, di stenti, o di tifo».
Eppure a vedere gli uomini lavorare e faticare, ed arrischiare perfino la propria vita per trarre a salvamento la roba dei padroni, era cosa da destar meraviglia. Ed il contadino lombardo sa il suo conto meglio del contadino meridionale, e più d'uno lì, parlando di certi proprietarii, i quali non vollero pagare per il rinforzo delle sponde e così impedire una possibile rotta, disse: «Peggio per loro, questa volta; sono di loro le viti e le raccolte; le braccia rimangono a noi.» Un po' più di questa logica ed i ricchi proprietarii ed affittuarii lombardi, veneti e mantovani, sarebbero costretti a migliorare per interesse, se non per giustizia, lo stato dei loro dipendenti.
Ancora più triste mi riescì una visita al Manicomio femminile di San Clemente di Venezia, ove il chiaro filantropo e medico primario di quel luogo di dolore mi disse e mi provò con i registri, che mentre fra le pazze, dodici sole furono colpite per vizii, sopra più di cinquecento, due terzi erano alienate per pellagra, cioè per essere esclusivamente, e spesso insufficientemente, nutrite di polenta e d'acqua non sempre sana e pura.
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