Ci sembrava trasognare, vedendo che questo Regolamento porta la data di Napoli 1871, e che è firmato da uomini appartenenti al partito liberale, cioè: Castellano, De Zerbi, Melchionna, Castelli. E tutti ci dicono che l'Albergo dei Poveri è riformato, e aggiungono «Se l'aveste visto nel 1860!» E noi rispondiamo adesso come allora: «Il popolo lo chiamava il serraglio, e fu ed è il nome appropriato.»
Nè basta la buona volontà del Segretario generale, nè del Comandante, nè del Direttore, chè tutti mi sembravano ansiosi di bene e zelanti del proprio dovere - chi può riformare tale Istituto? - Essi non possono migliorare il cibo, nè trasformare ciarle in pane, e molto difficilmente possono rifiutare un ospite se proposto dal Prefetto o da un Governatore.
Vorrei una diligente statistica degli allievi; e apparirebbe quanti veri orfani ci sono e quanti godono ingiustamente i beni dei poveri!
Qui per rifare bisogna disfare - e verificato chi ha diritto di starci, mantenerlo decentemente se inabile al lavoro, obbligarlo al lavoro se abile. - E ai bambini e bambine sopprimere il lusso nell'istruzione, e, in quel cambio, cibo, aria, esercizii e quell'educazione che può farne nell'avvenire cittadini onesti, atti a guadagnarsi di che vivere. Così non assisteremmo allo sconcio spettacolo degli allievi usciti che alla porta mendicano; nè udremmo la risposta frequente nei giovani carcerati, richiesti donde vengano: «Dall'Albergo dei Poveri.»
Ci pensi il nuovo Municipio. Là ci sono 1,235,786 lire che appartengono di diritto ai poveri e non ai benestanti, mentre nei fondaci o nei bassi il vero povero muore di fame e di stento.
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