I poveri illusi che vanno al Brasile, coloro ai quali l'Oceano non aperse pietosa tomba durante il disastroso viaggio, troveranno bensì terre da dissodare e legname da costruire case. Ma quando le terre saranno coltivate e le case erette, i sopravvissuti alle febbri e alle malattie prodotte dal cambiato clima e dalla mutata dieta si accorgeranno anche là di aver lavorato per altrui. E l'ingordo speculatore, l'ingaggiatore, tirerà fuori la nota delle spese d'alloggio, del mantenimento, delle medicine, delle sepolture, dimostrerà che i conti sono almeno pari, e che a lui restano la terra per seminare e le case per abitare.
E l'emigrato o ritornerà, o scriverà in patria, dissuadendo i concittadini dal seguire il suo esempio, consigliandoli di mettere a profitto la sua triste esperienza.
E se ciò accadde? succederà in Italia una rivoluzione tanto più tremenda, quanto che senza alternativa.
Pensi adunque il Governo riparatore a disseppellire quelle montagne di quesiti e risposte fatte durante l'inchiesta domandata dall'onorevole Bertani nel 72, e a riuscire a qualche pratica conclusione.
L'emigrazione bene organizzata come nel passato per gli Stati Uniti, i quali ora ne rovesciano da capo parte nel Canadà, e in parte ne rigurgitano in Europa, può essere un beneficio per i paesi poco popolati: ma per l'Italia, che ha vaste terre fertili e incolte, ricche miniere inesplorate, è una vera disgrazia; e un bene elaborato sistema d'immigrazione, ossia di passaggio di lavoranti dai luoghi, ove manca il lavoro, ai luoghi, ove mancano le braccia, parrebbe più sano consiglio.
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