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      E se la Polizia li trova, esercitando il mestiere, li mena alle Carceri giudiziarie, ed è proprio a queste carceri che vorrei si guardasse. Dite dunque che il Ministro dell'Interno, il superstite del Pisacane, il ferito di Sapri, il galeotto di Favignana, il quale di carceri napoletane deve saperne un tantino, mandi un patriotta che s'intenda di economia pubblica, abbia occhio scrutatore, facilità nella diagnosi, esperienza dei mezzi terapeutici, a fare degli studii in questi luoghi, ove il reo o supposto reo si ferma a mezza via, fra il reato commesso e la pena che deve espiare.
      Se la scelta cade su uno, che ha visitato le carceri nel 1860, egli rimarrà maravigliato del miglioramento materiale, della pulizia, del vitto, della disciplina, della nessuna sevizia permessa contro i carcerati, della prontezza con cui una petizione o protesta è trasmessa ai superiori, e applaudirà certamente al rigoroso sequestro dei camorristi, per quanto sono conosciuti. Dirà di certo che il reo è assai meglio vestito, nutrito, albergato, del povero onesto e laborioso: nè si meraviglierà che centinaia di mendicanti commettano qualche «piccola mancanza» per esservi rinchiusi.
      Ma se davvero lo scrutatore s'intende di economia pubblica, sarà dolorosamente colpito in tutte le prigioni, e specialmente alla Concordia, nel vedere ragazzi da nove anni in su, arrestati o come vagabondi, o per furto o rissa, e fin per omicidio, giudicati e giudicabili, rinchiusi insieme negli stanzoni, oziosi o tutto al più facendo filacce, ciò che non impedisce che i corrotti corrompano gl'innocenti, e che tutti, scambiando le nozioni del mio e del tuo succhiate nei rispettivi covili, non tramino insidie, non si perfezionino nel delitto: così pervertendo «le forze delle menti associate.


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La miseria in Napoli
di Jessie White Mario
Editore Le Monnier Firenze
1877 pagine 277

   





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