Prese una mano di Porcellino, una mano della vedova, e disse: "Suocera, introducete vostro genero."
Il bestione si disponeva a farsi trascinare dentro, mentre la padrona di casa ordinava a un giovane domestico: "Pulisci tavola e seggiole, servi un pasto di magro e occupati dei miei tre parenti. Io accompagno il signor genero nella sua stanza."
Diede disposizioni al cuoco per il pranzo di nozze dell'indomani. I servitori ubbidirono, i tre pellegrini cenarono, distesero le coperte e si coricarono nella sala di ricevimento.
Quanto a Porcellino, seguendo la suocera, superava una porta dopo l'altra, in numero incalcolabile. Quella casa era piena di soglie in cui inciampare e di stipiti in cui battere la testa.
"Mamma, andate piano! Non conosco la strada, guidatemi per piacere" implorava Porcellino.
"Questi sono soltanto granai, magazzini, stanze per la molitura e simili; non siamo arrivati nemmeno alla cucina."
"Che casa immensa!" esclamava Porcellino.
Camminò ancora per un bel pezzo, sempre procedendo a tentoni e urtando da tutte le parti, prima di giungere agli appartamenti privati.
"Caro genero" disse la vedova, "ti ho invitato a entrare perché il tuo condiscepolo ha detto che non si potrebbe trovare un giorno più fausto di questo, grazie al cielo. Ma la gran precipitazione non mi ha lasciato il tempo di far venire l'astrologo, di pregare all'altare degli antenati e di gettare il riso nella camera nuziale. Accontentati di pregare il cielo; basterà che tu lo faccia otto volte."
"Giusto, signora. Sedetevi al posto d'onore; io vi rivolgerò degli atti di rispetto, che serviranno da devozioni al cielo e alla terra, e insieme a esprimervi la mia gratitudine. Non è pratico, per semplificare la cerimonia?"
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