Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     La futura suocera chiama: "Sincerità, Amore, Amata, venite qui che facciamo l'estrazione a sorte per questo matrimonio."
     Il bestione sente tintinnare anelli e placchette di giada, annusa effluvi di muschio e di orchidea, come se lo circondassero le fate, e tende le braccia per acchiapparne una. Si slancia a destra, poi a sinistra, ma ovunque afferra il vuoto; va, viene e gli sembra che ci siano moltissime ragazze a turbinare intorno a lui: ma nessuna si fa prendere. Da questa parte urta contro una colonna, dall'altra va a sbattere in un tramezzo di legno. Corre da tutte le parti, la testa gli gira, non si regge più sulle gambe e barcolla come un ubriaco. Davanti inciampa in una soglia, dietro urta in un muro di mattoni. Incespicando e urtando, si era tutto coperto di lividi. Alla fine cadde seduto per terra, ansimando da non poterne più: "Ma queste ragazze mi scivolano fra le mani, signora! In questo modo non riuscirò mai a prenderne una."

     "Genero mio" rispose la suocera sollevandogli il velo, "non è che le mie figlie scivolino fra le mani; il fatto è che sono modeste, e ti cedono l'una all'altra con bello spirito di rinuncia."
     "Se loro non mi vogliono, prendetemi voi."
     "Ma che bel genero, fa proposte anche alla suocera, senza rispetto all'età! Le mie tre figlie sono molto brave: ciascuna ha cucito una camicia di broccato ornata di perle. Te le proverai, e sposerai la ragazza che ha cucito la camicia che ti andrà bene."
     "Così è meglio. Portatemi queste camicie, io le proverò. Si capisce che, se riesco a infilarmele tutte e tre, sposo tutte e tre le ragazze; d'accordo?"


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