La dama uscì dalla stanza e rientrò poco dopo tendendo una camicia a Porcellino. Il bestione si sfilò la sua tunica azzurra e infilò la camicia, ma ancor prima di averne annodato il laccio cadde a terra: il capo di vestiario era tutto pieno di cordine e funicelle, che lo strizzarono spietatamente e gli inflissero un'intollerabile tortura. Intanto le donne svanivano.
Ritorniamo a Tripitaka, Scimmiotto e Sabbioso, che già riemergevano dal sonno, mentre l'oriente si andava rischiarando. Quando aprirono gli occhi, i nobili edifici e le alte sale erano scomparsi, con le loro travi scolpite e pilastri decorati. In realtà avevano passato la notte in una foresta di pini e di cedri. Tripitaka, smarrito, si mise a chiamare Scimmiotto, mentre Sabbioso esclamava: "Ci siamo imbattuti nei fantasmi, ci hanno fregato!"
"Ma davvero?" fece Scimmiotto sorridendo sotto i baffi, perché sapeva benissimo com'erano andate le cose.
"Ma non vedi dove abbiamo dormito?" insisteva Tripitaka.
"Non ci siamo poi trovati tanto male" replicò Scimmiotto. "Mi chiedo dove quello scemo avrà ricevuto il suo castigo."
"Quale castigo?" s'inquietò Tripitaka.
Scimmiotto si mise a ridere: "Non avrete mica creduto alle storie di quelle donne! Madre e figlie erano delle pusa venute da chissà dove, che suppongo siano ripartite durante la notte, dopo averci ospitato e aver dato una lezione a Porcellino Otto Divieti."
A sentir parlare di pusa, Tripitaka giunse le mani e si inchinò rispettosamente.
Videro un biglietto che fremeva al vento, fissato a un cedro antico alle loro spalle. Sabbioso lo andò a staccare e lo portò al maestro, che vi lesse un inno in otto versi:
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