Tripitaka, che pure dava fiducia anche alle diavolesse, aveva motivi per non darla a Scimmiotto. Fece con la mano il segno adatto e recitò la formula della costrizione.
"La mia povera testa!" urlava Scimmiotto. "Ferma! Se avete qualcosa da dire, parlate!"
"Non ho proprio niente da dire" rispose Tripitaka. "Quelli che hanno abbandonato la propria famiglia si devono dedicare senza posa al bene altrui, essere caritatevoli in ogni istante e in ogni pensiero, prendersi cura dell'integrità delle formiche quando scopano il pavimento, mascherare le lampade per proteggere le falene; tu invece ti lasci dominare dalla violenza. Che meriti si possono acquistare nella ricerca delle scritture, se si ammazza un essere innocente del popolo di dio? Vattene!"
"E dove volete che vada, maestro?"
"Non sei più mio discepolo."
"Se non mi tenete come discepolo, temo che non arriverete mai alla fine del vostro cammino verso il Paradiso dell'Ovest."
"La mia vita è nelle mani del Cielo. Se un mostro mi vorrà lessare o cuocere al vapore, pazienza. Non sarai tu che potrai sottrarmi al limite destinato alla mia vita come a ogni altra. Non stare a discutere e vattene."
"Va bene, me ne andrò. Ma non mi sono ancora disobbligato del beneficio che vi devo."
"Quale beneficio?"
Il grande santo si inginocchiò e si prosternò dicendo: "Il vecchio Scimmiotto era stato schiacciato dal Buddha sotto il Monte delle Due Frontiere. Ho avuto la fortuna di essere convertito da Guanyin e liberato da voi, maestro. Se non avessi accettato di accompagnarvi al Paradiso dell'Ovest sarei stato manifestamente ingrato e
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