Chi non è grato non è gentiluomo,
Anzi merita solo eterna infamia!"
Tripitaka era un santo monaco compassionevole. A vedere Scimmiotto che lo supplicava con tanto ardore, cedette e disse: "Per questa volta ti perdono. Ma non ricominciare a mancarmi di rispetto. Se ci dovessi riprovare, ripeterò l'incantesimo venti volte."
"Anche trenta, se vorrete; ma io mi guarderò dal colpire chiunque."
Aiutò il monaco cinese a rimontare a cavallo e gli porse le pesche che aveva raccolto. Si avviarono, mentre Tripitaka, cavalcando, mangiava le pesche per quietare l'appetito.
Intanto la diavolessa, che si era sottratta in tempo al colpo di Scimmiotto ed era fuggita su una nuvola, digrignava i denti furiosa contro il suo assalitore: "Avevo già sentito parlare delle sue capacità straordinarie" pensava, "e devo ammettere che non è una fama usurpata. Il monaco cinese stava già allungando le mani verso il mio riso: sarebbe bastato che lo annusasse, e l'avrei avuto in mio potere. Ma quel guastafeste mi ha rovinato l'operazione, e poco è mancato che mi prendessi una bella legnata. Se adesso lascio perdere il bonzo, mi sarò data tanto da fare per nulla. Torno giù e vedo se riesco a farli divertire in un altro modo."
Che bravo mostro! Abbassò la sua nuvola sulla montagna, a qualche distanza dai pellegrini, e prese la forma di una vecchietta sull'ottantina. Si appoggiava a una canna di bambù dall'estremità ricurva e veniva avanti pian piano, piangendo a dirotto. Come la vide, Porcellino si allarmò ed esclamò: "Maestro, è un bel guaio: adesso incontriamo la madre in cerca della figlia."
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