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      Si giuoca in quante persone si vuole e si fa il tócco.
      Colui al quale è toccato in sorte, lancia e' llécco o pallino (un còccio più piccino degli altri), e gli tira subito dietro la sua piastrélla, procurando di accostarsi con essa al lécco.
      Gli altri giocatori, l'uno dopo l'altro, lanciano la loro, sempre con lo stesso scopo; e chi si avvicina di più al lécco vince.
      Questo giuoco, comunissimo anche fra gli adulti, è pure chiamato: A cchiamà' ll'oste, per la ragione che il perditore o i perditori sono condannati a pagare quella certa quantità di vino, che, prima di cominciare il giuoco, è stata convenuta.
      38. - LA GGIOSTRA.
      È un giuoco che non ha regole. La conta o il capo-giuoco, fa da Toro e gli altri da giostratori.
      Ora si fa raramente; ma prima era comunissimo ed imitava le antiche ggiostre che si rappresentavano al Corèa.
      39. - A BBÒCCIA.
      Il giuoco delle Bócce, essendo comunissimo perchè conosciuto in tutte le provincie d'Italia, non occorre che io qui lo riporti.
      Non so nemmeno se il nostro differisca in qualche regola da quelli delle altre provincie. Cosa che io non credo. In ogni modo è giuoco di adulti e sebbene questa raccolta ne contenga pochi altri, la maggior parte di essi è però esclusivamente composta di giuochi fanciulleschi.
      40. - CASTELLETTO.
      Il Castelletto è un mucchio formato di quattro noci, delle quali una si sovrappone a tre che ne formano la base.
      Talvolta il castelletto è formato di nocchie o di osse di albicocche, di pesche, ecc.
      Uno dei giocatori, al quale tocca di tirare pel primo (dalla distanza stabilita con un segno in terra), tira la sua noce o il ciotolo, secondo come si è convenuto, e se coglie il mucchio e lo scompone ha vinto e si prende le noci o le ossa di pesche o altro.


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Usi costumi e pregiudizi del popolo di Roma
di Luigi Zanazzo
Società Tipografico Editrice Nazionale Torino
1908 pagine 297

   





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