Pagina (201/297)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      E i due capi-giuoco soggiungono:
      - Le porte sono uperte, per chi cce vôle entrà'.
      Ed i compagni vi passano. L'ultimo di essi viene però fermato da uno dei capi-giuoco, il quale gli domanda:
      - Che vôi o riso o céci?
      Se egli risponde riso che equivale a inferno, è condannato subito ad andarvi; se invece dicesse céci, andrebbe in paradiso.
      Poi si ricomincia da capo, e l'ultimo che sta per passare, torna ad esser fermato, interrogato e condannato come il precedente compagno. E così di seguito, fino a che sono tutti collocati. Allora, come di solito, gli eletti scherniscono i compagni condannati all'inferno, col dirgli: tappi di cacatore, o altro.
      56. - A LA MUTA.
      Il numero dei giocatori deve essere sempre paro. Se, per esempio, sono in otto, quattro di essi fingono di fare un mestiere, sempre però alla muta, ossia a gesti e senza parlare. Gli altri quattro devono indovinare quale mestiere i loro compagni stan facendo.
      Se lo indovinano le parti s'invertono; altrimenti, sta ai primi quattro a ricominciare con un altro mestiere.
      Si comincia il giuoco con questa formola:
      - A la muta a la muta, chi pparla è pperduta.
     
      57. - GATTO, TROVA SORCIO.
      Sopra cinque pezzetti di carta si scrive: sorcio, gatto, re, reggina e bbattente o bboja. Poi essi vengono gettati in aria e raccolti dai cinque giocatori.
      Quello che è re comanda. Egli allora chiama il gatto, e gli impone di trovare il sorcio, dicendo:
      - Gatto, trova sorcio.
      Se il gatto non indovina chi è il sorcio, allora è condannato dal re a buscarsi dal boja o bbattente la dose di mazzaroccate che egli comanderà.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Usi costumi e pregiudizi del popolo di Roma
di Luigi Zanazzo
Società Tipografico Editrice Nazionale Torino
1908 pagine 297