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Carta Idrografica d'Italia
Sangro - Salino - Vomano - Tronto - Tordino e Vibrata
Ministero di Agricoltura Industria e Commercio
Tipografia Nazionale di G. Bertero & C., 1903, pagine 209

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   i rimanenti monti che vanno a terminare nella valle del Raso, di fronte a Castel di Sangro, sono costituiti dagli stessi calcari fatta eccezione di un piccolo lemho di lias medio ed inferiore scendente dal monte Majuri.
   Nella valle del Raso cessa, sulla sinistra del Sangro, la grande l'orinazione calcarea e più non riappare in seguito, non polendosi ad essa ascrivere i piccoli ed isolati lembi calcarei che spuntano ogni tanto fra le argille e le arenarie, i quali del resto, seppure eocenici, appartengono ad un livello superiore.
   Ricordiamo qui che nell'alto Sangro, ossia nella parte a monte di Alfedena, hanno sviluppo alcuni depositi quaternari, costituiti Ida detriti di monte, da antichi alvei, da terrazzi, ecc., che esercitano una discreta azione idrologica, sia conservando nelle loro masse le acque piovane ed alimentando scaturigini perenni; sia funzionando da veicolo a quelle che provengono dai monti calcarei. Di tali depositi se ne presentano in quasi tutte le vallate, ina i più estesi e potenti sono quelli del bacino di Pescasseroli, delle valli di Fondillo, di Ciavulara, di Rapino, di Prolfo, e del Rio Torto, oltre una grande distesa ai piedi dei monti Petroso e Meta.
   Procedendo oltre la valle del Raso, la sopradelta formazione calcarea riapparisce però con grande sviluppo nella Majella, che per tanta parte entra nel bacino dell'Aventino. Infatti questa catena è in massima parte costituita su tutta la sua lunghezza e dal crinale all'alveo dell'Aventino, a principio e fino a mezza costa poi, dal calcare eocenico, compatto, simile nell'aspetto a quello ippuritico.
   I calcari della Majella cominciano al ponte della Madonna, presso la stazione ferroviaria di l'alena e, tranne alcune piccole zone di altre roccie sovrapposte, seguono il letto dell'Aventino /ino alla sorgente Capo di Fiume, da dove staccandosene, rasentano i paesi di Falena, Lama dei Peligni, Fara San Martino e Pennapiedimonte, per quindi, girando all'ovest, attorno alla Majelletta, sparire per non più affacciarsi in tutta la rimanente parte del bacino.
   Prima di lasciare la Majella ed i calcari che la costituiscono accenniamo ad alcune condizioni speciali di tettonica, che provocarono fenomeni disastrosi per alcuni di quei paesi, ai quali apportarono, come continuano ad apportare, rovine non iudiflerenli.
   Ricordiamo anzitutto che frequentemente il contatto fra il calcare e le roccie arenaceo-argillose è mascherato da grandi cumuli di detriti che costituiscono i soliti coni di deiezioni, tanto comuni ai piedi degli erti monti calcarei e presso lo sbocco delle ripidissime vallecole laterali. Di questi cumuli detritici se ne trova uno presso Falena, molto esteso, ma senza azione diretta, non provocando frane e non impedendo i deflussi delle acque sotterranee. Un secondo, caratteristico, sta sulla destra dell'Aventino e forma una stretta e lunga serra che da Lettopalena giunge ad un chilometro circa da Taranta. È un vero promontorio detritico che fa riconoscere l'antico corso del fiume ed i mutamenti successivi, poiché da una parte e dall'altra, cioè dove esso scorre e dove un tempo sembra scorresse, si trovano i depositi di limo argilloso formati dalle acque. Inoltre sulle ultime pendici della Majella, si scorgono ancora, in perfetta corrispondenza col detto cumulo, avanzi detritici addossati ad un sottile lembo di scisto calcareo molto inclinato, che sembra sia scivolato sul calcare compatto sottostante. Tutto ciò fa supporre che il cumulo detritico di Lettopalena fosse un grande cono di deiezione, ai cui piedi scorreva l'Aventino, molto più elevato d'ora, il quale a poco a poco si scavò verso la montagna un nuovo alveo, affondandolo al contatto fra i calcari e i detriti, e lasciandosi a destra il nucleo maggiore di questi, che presentemente ha circa un chilometro di lunghezza e non meno di 300 metri di larghezza alla base, per oltre 50 di altezza.
   Un'altra falda detritica comincia presso Lama dei Peligni e da essa sembra derivare il nome del paese, che molto soffri alcuni secoli addietro per grandi scoscendimenti.
   Più avanti tali materiali si allargano sensibilmente e continuano alla base dei calcari fino al