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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Colle. Era stato più volte ad Aquila, e, mi pare, anche a Roma: n'aveva riportato il ricordo di quei palazzi; e credette di fare un palazzo anche lui, mentre s'apparecchiava, senz' accorgersene, a costruire una modesta casa di campagna. Nei suoi giri, che in quei luoghi e in quei tempi, potevano sembrare veri viaggi, la cosa che più gli aveva colpito la fantasia, erano i grossi cornicioni dei palazzi, dei quali non s'aveva esempio nel suo paese nativo, dove non si vedevano che nere e rozze gronde di legno. E, con la mente piena di quelle sontuose sporgenze, fabbricò, si può dire, la casa per il cornicione; e tutto il suo pensiero lo raccolse in quell'ornamento, che diventò la parte principale. Più tardi si dovè alleggerire la casa di quell' ingombro, che minacciava di farla cadere.
   Altra forte impressione aveva riportata dalle grosse muraglie degli antichi palazzi; ed egli subito a imitarle nella sua fabbrica, che doveva riuscire l'espressione sincera del garbuglio estetito d'un'anima vivace, ma ingenua e incolta. E, pur di fare i muri grossi, non si curava di rubare sempre più lo spazio alle piccole stanze. E, poiché aveva forse visto, o sentito dire, che a Roma i gran signori fabbricavano con le pietre tolte ai ruderi degli antichi maestosi edifìzii, volle avere anche lui il suo monumento da sfruttare, e volle esercitare anche lui le sue rapine. Adornò la porta di strada, o, come laggiù dicono superbamente, il portone, di pietre lavorate, tolte a una vecchia diruta chiesa del seicento, prossima al villaggio; e mantenne sulla chiave dell'arco la sigla di Cristo. Portò via da quei ruderi sacri anche un paffuto angiolone con le gambe spezzate; e, non sapendo cosa farne di meglio, lo collocò, c' entrasse o non c' entrasse, sulla parete a capo della prima scala. E, quand'ebbe portato a termine tutta la costruzione, soddisfatto del-