l'opera sua, appose la firma al capolavoro, disegnando le proprie iniziali con pezzetti di mattoni, confitti nel selciato interno del portone. Per non esser da meno dei papi, avrebbe forse voluto apporre uno stemma all' edilìzio, ma lo stemma egli non l'aveva, e dovè contentarsi di quelle povere iniziali.
Io guardavo quell'angelo grasso e quelle pietre di chiesa, e interrogavo mio padre, e fantasticavo.
Mi dicevano che il nonno, mentre era di buon cuore, era anche un po'furioso e di primo impeto; e me lo rappresentavano in due momenti caratteristici. Un giorno, non so per quale contravvenzione ai suoi ordini, riguardanti un quadro di cavolfiori piantati da lui stesso nell'orto dirimpetto alla casa, dei quali aveva somma cura, prese d'un subito un lungo coltellaccio, e, sceso col sangue agli occhi giù nell' orto, cominciò, avventandosi qua e là tra i cavolfiori, a reciderli dalla radice a uno a uno, e a gettarli al di là della siepe di confine. Non valsero preghiere, suppliche, pianti di persone, o accorse dietro di lui, o che s'affollavano alle finestre della casa: egli non smise la strage nefanda, se non allorché il quadro fu tutto devastato e distrutto.
Un altro giorno, egli era appoggiato pensoso al fusto d'un olmo e guardava lontano verso il Gran Sasso ; ma, in quella stessa direzione si trovava un altro villaggio e la casa d'un agiato proprietario. Proprio in quel momento, passò accanto al mio nonno, tornandosene verso casa, quel proprietario, gelosissimo di sua moglie. E, immaginando che don Fedele (così si chiamava il nonno), fosse là per farle da lontano la corte : — Tienlo fermo, — gli disse, a denti stretti e con sorriso ironico, — tienlo fermo cotesto olmo. — Il mio nonno, lì per lì, non riuscì a capire, e rispose con uno di quei sorrisi di convenienza,