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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   che non dicono nulla. Ma, appena l'altro si fa allontanato di pochi passi, un raggio di luce gli rischiarò la mente: volò al forno vicino, e, afferrato senz'altro il fruciandolo, rincorse per un bel tratto il marito geloso, che non stette li ad aspettarlo come avevano dovuto fare i poveri cavolfiori.
   Gettava spesso un po'd'acqua in quel fuoco, donna Pulcheria, la nonna, o la gnòre (signora), come c'insegnarono a ricordarla da bambini. Signora in questo caso ha il suo senso primitivo di più vecchia, misto col senso secondario di più rispettabile: allo stesso modo, il nonno è chiamato ancora dai nostri contadini lu sciòre (se col suono del c toscano in bacio) il signore; ma noi lo chiamavamo papà russe {papà grosso — grand-père).
   La nonna, dunque, col suo carattere più freddo e un tantino ironico, infrenava quelle furie tragicomiche. Essa apparteneva a una famiglia dei dintorni, se non propriamente nobile, certo molto agiata, e civile da lungo tempo; ed era stata sposata dal nonno per il desiderio di formarsi una parentela, in certo modo, aristocratica, e per gettare le basi d'una nuova famiglia signorile. Il matrimonio era stato facilmente combinato, nonostante la disparità di condizione, per motivo della piccola dote, detta di paraggio, che assegnavano in quel tempo alle donne.
   Di fatti particolari, che caratterizzino, in qualche modo, la gnòre, ricordo solo che, quando la mamma le portava il caffè a letto, dov' essa giaceva malata della sua ultima malattia, aveva l'abitudine costante di versare e riversare ripetutamente il caffè dalla tazza nel piattino e dal piattino nella tazza per farne rilevare il colore che, secondo lei, èra sempre troppo sbiadito. Così la suocera sfogava il suo istintivo rancore contro la nuova padrona.