di Appicciafuoco, soccio della famiglia, — sono venuto a portarti un fascio di fieno. Mi scuserai se ho fatto un po' tardi. — Il padrone, dopo d'aver manifestato la sua maraviglia per l'ora insolita e per quell'idea del fascio di fieno, scese ad aprire. Mentre egli, lasciata aperta la porta, era nel fienile e collocava il fascio di Appicciafuoco, la casa si riempì in un momento delle più brutte facce di ladri e di assassini dei dintorni, o già noti come tali, o non supposti tali da nessuno; e tra questi ve n'erano di amici della famiglia, e v'era anche un compare: tutti senza maschera, con l'impudenza vigliacca di cui spesso si veste la forza assoluta davanti alla debolezza assoluta, e con la sicurezza che nessuno sarebbe sopravvissuto alla strage meditata. Appicciafuoco era stato il traditore, ed aveva venduto, certo per pochi denari, tutta la sventurata famiglia dei suoi padroni.
Immaginarsi lo sgomento, il terrore di quegli infelici che erano in casa, e del capo della famiglia, quando tornò su. Credendo sulle prime che quella nefanda masnada non desiderasse che denaro, si affrettarono ad offrirne, supplicando, piangendo per aver salva la vita. Gli sventurati non potevano sospettare quale orribile trama s'era ordita contro loro tutti. Essi non sapevano che un loro-parente, per entrare in possesso dell' intero loro vistoso patrimonio, aveva formato l'infernale disegno di farli trucidare tutti insieme e improvvisamente, in modo da impedire a ciascuno di loro di disporre a propria volontà degli averi, ove non l'avesse ancora fatto, e di far rubare, distruggere, bruciare quei documenti, a cui quella volontà fosse già stata affidata. Per attuare il suo progetto quel manigoldo s'era riyolto a tutte le più losche figure, a tutti i ladroni del circondario. Quelle tigri incominciarono subito la strage, con pugnali, con