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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   che pullulano d'ogni parte: essa comincia qua e lā ad agitarsi, come le onde che si addestrano agl'impeti ed alle furie della vicina tempesta: essa alza il capo e si guarda intorno e non sa perchč sia accaduto quello che č accaduto, come chi si risveglia da un lungo sonno. Essa guarda verso di noi, che leggiamo Dante e Machiavelli, e pensa: — Voi vi siete fatta la vostra Italia: ora tocca a me farmi la mia. — E un giorno, anch' essa se la farā; non c'č da dubitarne. E noi, piuttosto che pensare con dolore e spavento a questa nuova Italia, piuttosto che combatterla ed avversarla prima che essa nasca, salutiamola fin da ora nella sua nuova grandezza e nella sua nuova gloria.
   Il popolo, dicevo, non capiva quale grande mutamento avvenisse in Italia: da noi esso aborriva quelle novitā, che riteneva fossero tutte a vantaggio della classe odiata nel fondo de! suo cuore, i signori, chiamando con questo nome tutti quelli che potevano, o credevano di poter vivere senza lavorare. Le tasse cresciute improvvisamente, in modo insopportabile e non proporzionato ai guadagni ed alle rendite, gli facevano ritenere che il nuovo governo fosse composto tutto di ladri. Il capo dei ladri, secondo lui, era Io -stesso Vittorio Emanuele, e per sfogare in qualche modo il suo rancore, lo chiamava lu cecāte (il cieco). Non sono mai riuscito a capir bene da che potesse derivare questo nomignolo di Re Vittorio.
   Ma, nonostante questa generale e profonda avversione pel nuovo ordine di cose, non mancavano di quelli che correvano ad arrolarsi nelle schiere di Garibaldi. Noi bambini, vedendoli partire, cantavamo, pieni d'impeto bellicoso, sognando vittorie:
   Quando la tromba — sonava all' armi,
   con Garibaldi — corsi a arrotarmi!...