gire. Rivedo ancora mio padre, che, una mattina (eravamo nell'estate del 1861) tornato da Tossicia, ove si era recato per suoi affari, diceva a mia madre, standosene appoggiato al letto con aria stanca e pensosa, che bisognava lasciar Colledara e andarsene a Teramo. Mia madre accolse la notizia con dolorò e spavento.
E il giorno dopo, riuniti in carovana, con parenti e amici, tutti a cavallo (in quel tempo, nel Mandamento di Tossicia, non c' era un solo metro di strada carrozzabile), partimmo per Teramo. Gli adulti avevano tutti il fucile in ispalla: ma, se avessimo dawéto incontrato i briganti, a che avrebbero servito i fucili? Avrebbero formato, anzi, un pericolo; ma la fantasia vuole, in tutte le cose, la sua parte.
Di quel viaggio ricordo tre particolari solamente: il primo è l'immagine di mia madre, che, mentre scendeva sulla mula la costa di Colledara, si scoteva sulla sella per la via sassosa e incomoda; e, mentre si teneva con una mano all'arcione, si asciugava con l'altra gli occhi pieni di pianto. La poveretta che viveva tutta per la famiglia, pensava alla sua casa, già custodita e tenuta con tanta cura, ed ora lasciata alla discrezione dei briganti, che da un momento all'altro l'avrebbero assalita. Il secondo particolare è il terrore con cui riguardammo, anche noi bambini, un albero dove i briganti avevano, giorni prima, impiccato e abbandonato agli uccelli, così spenzolante, un tal Giannone di Basciano ; e finalmente, mi ricordo che, poco dopo d'aver raggiunta la via maestra tra Montorio e Teramo, a un tratto vedemmo di lontano un vivo lampeggiare di baionette. —I briganti! — dissero, e pensarono tutti; e si credettero perduti, lo guardavo con tanto d'occhi, e non potevo rendermi vera ragione del pericolo. Ma non erano i briganti : dopo po-