piattaia in casa, aspettando per vedere che direzione pigliasse la tempesta. Intanto il grido minaccioso si ripeteva con impeto crescente, e la tempesta si addensava sempre più. Arrivata finalmente al colmo della tensione, scoppiava furiosa. Allora, altro che chiamar galline! Eran parole violente, insulti atroci contro un nome determinato, o, per meglio dire, contro un brutto soprannome determinato : minacce, allusioni aperte a fatti vergognosi : era il veleno represso e concentrato che diventava parola. Allora, a un tratto, da quella casa che pareva deserta, dove regnava il silenzio più profondo, si affacciava,
0 usciva sulla porta, una figura scarmigliata di tigre in carne umana: — Cosa vuoi? Cosa vuoi? Si, sì, me la son mangiata io per farti crepare: voglio ingrassare a tue spese per farmi bella, più bella di te, brutta faccia verminosa, che fai schifo anche a tuo marito. Neppure
1 cani ti vogliono. — L'altra con la rabbia della gallina rubata e con quelle feroci ingiurie per sopraccarico, faceva la bava dalla bocca e ribatteva peggio. Finalmente le due furie, sazie di parole, si gettavano l'una contro l'altra sulla strada e s'afferravano per i capelli. E la lite aveva fine solo quando interveniva o il bastone dei mariti, o la pietà dei vicini.
Erano singolari le astuzie che usavano tutte quelle che possedevano galline per prevenire ò scoprirne i furti. Si vedevano galline con una calza rossa, senza coda; ma, poiché la calza si poteva facilmente levare e la coda tornava a crescere, ed era noioso starla a ritagliare tutte le volte, una donna ebbe un giorno un' idea nuova : tagliò a tutti i suoi polli la falange di un dito. Da una finestra io ebbi la fortuna di assistere all'operazione. E bisognava vedere con che celerità quella donna la compiva e come quei poveri polli la sopportavano in pace.