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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Non sempre, per altro, questa piaga del furto era ed è tenuta viva dalla miseria. Non c'è, si può dire, una persona di servizio, che, per quanto provveduta in casa dei padroni del necessario, messa in condizione di rubare, non rubi. È come una necessità creata dall'abitudine. E rendono molto mal volentieri anche gli oggetti trovati: c'è un proverbio che dice: « Roba trovata non si chiama rubata » (rrobba truuàte n'n ze chiam' arrub-biite), e con esso si consolano anche quando avviene che conoscano il vero proprietario dell'oggetto trovato.
   Ma, a parte qpesti difetti, e a parte gli altri molti che sogliono ritrovarsi, più o meno, in tutti i contadini, i contadini nostri sono parchi, resistenti alle fatiche e laboriosi in modo presso che incredibile. La loro giornata è retribuita ancora oggi con cinquanta centesimi per gli uomini e venticinque per le donne, oltre il pasto, ordinariamente rozzo e poco buono, e, oggi, senza vino, neppure annacquato. Il lavoro comincia prima che si levi il sole, sto per dire all'alba, e finisce la sera dopo il tramonto. Durante questo tempo, essi mangiano tre volte : due pasti piccoli, colazione e cena, e uno più forte a mezzogiorno; ma non si riposano un minuto più di quello ché è necessario al pasto. Tornano al lavoro masticando l'ultimo boccone; e, dopo una giornata di questo genere, tocca loro spesso, quando vanno a esigere dal proprietario il sudato prezzo della, loro fatica, di sentirsi dire con uno sbadiglio: — Ripassate domani: oggi non ho spiccioli. — Ho ancora negli orecchi il rumore cadenzato e doloroso degli scarponi d'un contadino, che, rimandato in questa maniera, scendeva lentamente i gradini d'una casa. Quanti pensieri, quanto strazio in quel triste e monotono suono di passi ferrati!
   L'opera dei nostri contadini era, al tempo della mia